sabato 8 maggio 2010

Immediatezze

Le immediatezze prendono sempre più spazio nella mia vita. In un certo senso me ne meraviglio perché sono molto portata alla riflessione lunga e laboriosa.
Eppure sono tante le piccole cose della giornata che, belle o brutte, interessanti o inutili, non richiedono la mia riflessione, bensi la mia e-staticità.
Ieri guardavo una badante trentenne accanto ad un'anziana signora; entrambe in atteggiamento statico, marmoreo, glaciale. L'una e l'altra, due pietre isolate in un deserto. Però nella giovane la durezza delle apparenze non riusciva a nascondere dolore da sradicamento e angoscia infinita.
Ho provato a rivolgerle con simpatia qualche domanda.
In un breve scorcio di tempo il suo viso si è illuminato di un sorriso che mi ha dato felicità. Mi ha dato l'aire per buttare via la mia solitudine tra gli oggetti di lusso inservibili.

domenica 2 maggio 2010

La speranza

Carissima Ausilia, rispondo con immediatezza a questo tuo scritto. Nei fatti non rispondo, non ho nulla da rispondere, ma solo qualcosa di cui prendere atto insieme a tutte le altre persone che ti (ci) leggono.
Sono una credente, amo definirmi come "eterodossa", e sono fuori dalle realtà ecclesiali perché collocata fuori, non perché abbia io deciso di uscire. Di questo ringrazio il mio dio, poiché mi ha fatto passare dalla "terra di qualcuno" alla "terra di nessuno", facendomi perdere - mio malgrado e con la sofferenza che né consegue - ogni senso di appartenenza. Non appartengo ad alcuno e nessuno mi appartiene. Posso essere finalmente "laica", perché deprivata dalla necessità di dover coordinare la mia fede con il dogma, fuori dalla necessità di avere un assoluto di riferimento, per potermi calare - finalmente - nella contestualità, nella relatività del quotidiano e del nostro percorrerlo in così tanti e svariati modi.
Ma sono credente, e per tanto il tutto non può prescindere dalla fede, la quale si pone di fronte a me come semplice e non richiesto dono! C'è e ci devo fare i conti come con chi non ti chiede mai conto!
La narrazione del se è narrazione della storia, del pensiero che si fa "fatto", di una parola che si fa "carne". Il primo approccio serio che ebbi con il pensiero femminista mi aprì una visione diversa della esistenza, e mi mise di fronte la mia incolmabile mancanza. C'è qualcosa che io non potrò mai avere, ma solo caparbiamente dare. La trasmissione della memoria della vita, quella dei gesti, quella che di madre in figlia si passa, senza che sia scritta o documentata, ma che è iscritta nella memoria, quella non l'avrò; non l'avrò come qualcosa che sia stata passata a me, ma io la passerò, come nuova memoria di quel mondo femminile che ancora deve fare la propria storia, deve fare la propria memoria e condividerla.
Ho tante figlie e qualche figlio, ed a tutt* cerco di passare questa memoria, questa cosa che non si può scrivere, non si può dire! Non perché sia proibito, ma perché l'esperienza del quotidiano, la percezione della storia, il senso del se e l'amore verso il proprio corpo, il senso della cura, non sono cose che possono essere scritte nel "manuale" della vita, ma solo trasmesse nel quotidiano parlare e seguire. Pur non avendo mai partorito sento quella profonda insofferenza e sofferenza per il dolore che oggi devono subire le mie figlie ed i miei figli, nella mia rabbia sorda di una ostinata lotta per aprire prospettive e per ridare speranza. Si, cara amica mia, la speranza a chi si è visto rapinare la speranza dall'idiozia delle "appartenenze peculiari" e dei loro conenuti e di quant'altro si pone in una sudditanza di pensiero in qualsiasi forma essa si esprime.
Combatto, ma non contro "carne e sangue", ma contro principati e potestà, ed è una presunzione che richiama il senso proprio di una vocazione che non si spenge perché donata, perché data.
Non credo che ci sia una possibilità di nuovi pensieri, quanto piuttosto la possibilità di nuove strade e nuovi percorsi, se poi di qualcosa di nuovo si possa parlare. Nuovo per noi? Si, per noi nuovo! La speranza, quindi, perché questo è il nuovo che si pone di fronte a noi oggi, per l'oggi, per quello che siamo!
Vivo di speranza, tant'è che è il mio pane questa speranza, è il lavoro che ogni giorno svolgo, è il nome pieno del progetto che porto avanti da tempo. Un progetto economico, sociale, politico ... ma manca della cultura, perché una cultura della speranza non c'è! Oggi non c'è! Oggi ci si trova di fronte solo ad una cultura della disperazione e del nascondimento! Il bello lo hanno ridotto ad una sciocca icona fantasiosa, colorata con pastelli irreali! Dove è il bello? Dove lo hanno nascosto? Perché ci hanno tolto il bello del quotidiano vivere e di quella piccola quotidiana allegrezza di aver potuto parlare, sorridere, confrontarsi, arrabbiarsi, gustare, vedere, sentire? Perché tutto è così coperto di mille amarezze?
Lotto, è l'unica cosa che so fare! Lotto perché non ho altre possibilità! Lotto perché so che, comunque vada, vinco! Lotto e sono nella lotta, spesso nella consapevolezza di una schiacciante solitudine, spesso nella consapevolezza della totale incomprensione! La laicità ... chimera? Prassi? Obiettivo? Quotidiano soggettivo che si snocciola in ogni scelta che non è pregiudiziale e condizionata da "verità" prefabbricate e preconcette? Laicità di un pensiero che apre e mai chiude, tutto ascolta e tutto valuta; ma poi anche sceglie!
E si, perché il pensiero poi sceglie per potersi formulare, sceglie un campo, sceglie un punto di fuoco e lo persegue, ed in questo prende le distanze dal ragionamento che, forse, può anche costituirlo ma non strutturarlo.
Sai quali sono i pregiudizzi più duri da superare? Sono i propri nei confronti di noi stesse!
E' qualche tempo che mi ritorna in mente quella similitudine "vi abbiamo suonato il flauto, e non avete danzato; vi abbiamo cantato il lamento, e non avete fatto cordoglio!"
Cantiamo, Ausilia, il nostro canto di liberazione, non preoccupiamoci se questo non sarà armonico agli orecchi dei più. E' il nostro canto ed è musica per chi la vuole sentire.
Ti abbraccio

Il punto su questo blog

2maggio 2010

Cara Darianna
Questa volta, mentre continuo la mia conversazione con te, mi rivolgo a coloro che da tempo considero amiche ed amici. E’, questo, un bisogno di tutta me stessa. Non per fare due chiacchiere. Come dice Dewey, sento di avere «qualcosa da dire» (non «da dire qualcosa»), perché ospito in me un laboratorio di idee sentimenti esperienze, che sarebbe un tradimento chiudere alla comunicazione.
Da parecchi anni avevo fatto convergere questo «qualcosa» con la problematica delle donne in disagio nel rapporto con l’istituzione ecclesiastica, su due fronti: quello del coinvolgimento femminile di carattere esistenziale-affettivo nella vita dei preti in crisi, e quello delle ex-suore, deluse nel non poter realizzare all’interno dell’istituzione i loro ideali, meglio: la loro vocazione. VOLEVO PARLARE “DA DONNA A DONNA” (come recita il titolo di un mio libro), tenendo molto presente la PARTE MASCHILE. Ne sentivo la responsabilità, data l’incarnazione delle due tipologie di donna nella mia persona.
Ora le due esperienze-in-una si sono sedimentate e ritengo di dover fare un passo ulteriore.
Dopo dodici anni di dialogo aperto attraverso il sito “Donne-contro-il-silenzio”, per me non ha più senso offrire una spalla su cui piangere, e nemmeno aggiungere (tranne che privatamente) altre testimonianze a quelle raccolte finora: un cliché, quando si ripete sempre uguale a se stesso, non serve né alla maturazione delle persone né al cambiamento dei chiamati in causa.
Una volta disincagliata interiormente da appartenenze peculiari, il mio sguardo si dilata. Pur procedendo sullo stesso binario, voglio fare del mio impegno pregresso un paradigma applicabile ad altre realtà, in primis al modo-di-essere sedimentato attraverso il vissuto. E per farlo in libertà e in profondità, ho bisogno di mettere un po’ da parte i vecchi strumenti, di ri-leggermi e di confrontarmi sulla linea di una laicità a tutto spiano. Fermo restando ciò che mi sta più a cuore, la fede, voglio scavare dentro di essa in maniera laica, e cioè nella nudità del mio essere, a prescindere da qualsiasi ‘topos’ precostituito.
Il ricorso a tale criterio mi fa sentire lontana le mille miglia dalla parte più illuminata dei cattolici che denuncia-attaccando le «malefatte» della chiesa con un anti-clericalismo in perfetto stile clericale (l’espressione non è nuova, ma mi pare di averla pronunziata io per prima); e mi fa avvertire la nocività degli atteggiamenti supini dei più, compresi quelli dei credenti che si proclamano laici e dei non-credenti zelanti, nonché dei divi dell’anti-eroismo: tutti accodati a rendere tributo idolatrico, dentro le pieghe del dissenso, a chi ha o ritiene di avere un carisma, spesso per ruolo. Se è vero che non c’è ombra di spirito laico in chi riveste i panni del personaggio per contare e in chi entra dalla finestra nei suoi luoghi fascinosi nella condizione di fan, altrettanto non ce n’è in chi prende di mira il sacro aggirandosi nei suoi paraggi, con critiche infinite ed infinitamente minuziose.
Al largo! Verso vie nuove. Quando si vedono due lottare, è difficile distinguere chi ha torto e chi ha ragione; la lotta sfocia nella vittoria, non del più buono, bensì del più violento. La stessa mitezza va preservata da glorificazioni, sempre devastanti. Ecco: la laicità è formale; non punta sul personaggio e nemmeno sulle idee sane; è (quanto è difficile definirla!) capacità di andare-oltre sia dei personalismi sia delle idee assolutizzate.
Il colloquiare di questo blog cerca rispondenze nella parte di società che vuole dare sostanza all’«autenticità» (attenzione! è da eliminare il logorio del significato del termine): restando al riparo del dubbio che si interroga mentre interroga senza fine.
Ho stima per il femminismo storico, e perciò lo chiamo a confronto nel particolare settore religioso, in seno al quale esso è più sprovveduto, pur avendone succhiato il primo latte. Considero suo maggiore merito l’aver capito che ci va ORGANICITÀ (alla Gramsci) per coniugare singole questioni tra di loro e con la società nella sua interezza. Su questa scia voglia muovermi, in sponda non isolata da altri contesti. Già ai lettori attenti non è sfuggito il senso della mia metamorfosi strategica nel dare corso a questo blog confidenziale; al contrario, in chi si è fermato alla superficie, hanno destato sorpresa le incertezze esistenziali espresse, quasi che fossero ombre da fugare.
Nella scrittura narrativa la cultura femminista ha espresso il meglio di sé. Il racconto della vita ordinaria può gestire idee, eccome, se fa trasparire l’inespresso, spoglio di fatua spettacolarità e di audience.
Voglio esemplificare con una mia confessione la scelta diaristica e colloquiale di questo blog: uno dei pochissimi risultati raggiunti nel mio pregresso impegno di vita è stato quello di avere portato un piccolo contributo, con il racconto delle mie delusioni istituzionali, nelle decisioni prese dall’OMS per evitare il più possibile l’ospitalizzazione dei minori senza famiglia. Dio sa quanti anatemi mi sono attirata, ma ne valeva la pena. Lo so, ci vogliono appunto le grandi organizzazioni per dare concretezza e validità sociale ai progetti. Ma se non si opera nel sottosuolo di base che regge l’edificio, lo si vedrà crollare alla prima scossa; e certamente si richiede un et-et, non un aut-aut.
Dove andrà a finire la questione circa il binomio « donne e preti», che ormai ha non-belle risonanze nelle mie orecchie? Almeno di una cosa sono certa: non si otterranno risultati fino a che i soggetti non sapranno rompere il cordone ombelicale che li lega ad un’identità immobilizzata sul modello di Legge che vogliono cambiare. E con ciò non plaudo a coloro che imboccano vie tortuose di travestimento.
Col parlare colloquiale di questo blog, in apparenza occasionale e avulso da singole problematiche, miro a provocare chi legge alle durezze del Pensiero non-immediato; ad incoraggiare la messa in moto di energie spirituali scevre dai facili aggreganti spiritualismi di oggi; energie robuste e coraggiose perché tratte dalle radici del proprio essere.
Ma, per favore, non lasciatemi sola. Inseritevi anche voi, fattivamente, nelle conversazioni lanciate da me e da Darianna, interlocutrice principale.
Già, te, Darianna. Trans a cui è vietato di continuare a fare come un tempo il pastore in una chiesa cristiana; di essere accettata per quella che sei e di avere i mezzi per tirare a campare. Mi affascina la tua personalità di credente col dubbio piantato in cuore. Il tuo stile di libertà nel raccontarti non riesce ancora a farti felice perché hai il mondo contro, ma forse sei tu a regalare agli altri la liberazione dalla schiavitù dei pregiudizi.
Ausilia