mercoledì 17 febbraio 2010

Quale verità? Quale Libertà?

Cara Ausilia, spesso ci troviamo di fronte al termine "verità" coniugato con "libertà" nel testo biblico. La stessa parola "amen" ha il profondo senso di "verità". Conoscete la verità, e la verità vi farà liberi! Voi siete chiamati a libertà, ma non fate della libertà occasione di scandalo! Nello stesso concetto di "servizio" è contenuto sia il concetto di verità che di libertà!
Mi piace poter dialogare con te, proprio perché possiamo uscire dallo schema rigido di un argomentare accademico, ma al contrario possiamo finalmente concederci la dimensione testimoniale del nostro vissuto.
Trovo spesso una profonda analogia fra la testimonianza biblica ed il mio vissuto, per quanto mi debba porre sempre nella costante condizione di interpretare. Devo interpretare me, la mia storia, il mio vissuto passato e presente, per poi poter interpretare anche quel vissuto che ci viene testimoniato in quelle vecchie pagine.
Nel mio vissuto ho sperimentato che vi è una molteplicità di verità, e proprio per questo nessuna può arrogarsi la dimensione di assoluto, e proprio partendo dal concetto aristotelico che tu citi. Infatti se io parto dal concetto di unica verità, o sono una cosa o sono l'altra; se la verità è una o sono figlia o sono sorella; sicuramente per mia madre sono figlia, sicuramente per mia sorella sono sorella; sono due verità, in entrambe i casi il "pensiero della cosa corrisponde alla cosa in sé". Sono amica, sorella, figlia, compagna, partner, collaboratrice, complice, avversaria, nemica e quant'altro si vuole aggiungere, e ciascuna di queste cose esprime nei fatti una verità a seconda del soggetto che l'esprime e che mi legge. Così io stessa mi interpreto attraverso una molteplicità di verità, ciascuna contestualizzata, asserita dai fatti e dai contesti; tutte vere, tutte reali, tutte diverse l'una dall'altra ma pur sempre tutte facenti parte di me! Tutte facenti parte della mia esistenza; tutte espressioni interpretative del mio vivere e della mia vita.
Quale verità? Quale libertà? Forse conoscere la verità è conoscerne la sua molteplicità? Forse è la comprensione più totale della relatività nella quale siamo immerse che ci apre le porte ad un vivere pienamente nella libertà?
Parto dalla mia esperienza personale, del resto non ho altro, e tutte queste domande mi si pongono proprio in relazione a me stessa, in relazione al conflitto profondo che ho dovuto vivere - e che ancora vivo - fra il dover essere e l'esserci. La scomposizione totale di una dimensione unificante e univoca dell'interpretazione di sé, la ricerca di sé che sconfina fuori dalla condizione data di "essere", ma la profonda e concreta attestazione che - nonostante tutto e tutti - ci sono! E' una sensazione strana quella di uscire fuori dal concetto di "essere", da questa dimensione invasiva dell'essere! Questa dimensione dell'essere mi ha violentata per 45 anni della mia esistenza, e l'ha fatto perché ero stretta nella morsa della paura di cadere nella terra dei senza dio, di cadere nella terra di nessuno, di cadere nel deserto della solitudine e dell'abbandono! L'essere è stato per me una prigione, la negazione di ogni possibile verità, ed è forse per questo che ho verso questo concetto una certa avversione.
La mia storia, il mio vissuto, mi pongono di fronte ad una dimensione che è fortemente caratterizzata nel presente, dove poco importa da dove e come una persona venga e sia stata, ma ciò che importa ed è fondante per il mio presente è che questa persona ci sia, effettivamente, pienamente, lealmente e senza finzioni, senza la necessità di “dover essere” qualcosa o qualcuno. Si, semplicemente se stessa, nulla di più nulla di meno.
Così, dove concepisco trovi luogo la “verità” quindi anche la “libertà”, dove riconoscono il luogo della conoscenza della verità? Riconosco questo luogo e questa impossibile possibilità di conoscere se stesse come espressione della volontà creatrice di dio. Vivere ed esistere per come dio mi ha pensata. Ho conosciuto, compreso ed accettato che dio mi avesse pensata esattamente così come sono, e che solo nell'esserci nella creazione così come egli mi ha pensata io posso veramente vivere quella piena libertà che egli mi ha donato! La libertà di esserci nonostante ogni tipo di negazione e di misconoscimento. Esserci nonostante ogni aspetto possibile di verità.
Così io vivo la mia esistenza, così mi incontro con altre persone.
Darianna

Quale verità ci farà liberi?

15 Febbraio

Cara amica,
Voglio fare un breve cenno circa il modo di porci, tuo e mio, di fronte all’esistenza. Penso che l’abbattimento di barriere e reticenze possa mettere a nudo il bisogno di verità, gestito da persone «normali» con equivoci di fondo circa il dilemma tra l’apparire e l’essere
Ho nella mente alcune definizioni della verità, ma la vecchia che Aristotele ha dato mi pare tenga banco ancora: verità è la corrispondenza tra pensiero della cosa e la cosa stessa. Questa formula, riferita al nostro io, non è così semplice da applicare: perché l’io è in continuo divenire, e ciò che emerge alla coscienza è superficie spesso vaporosa, è schiuma che emerge dal profondo. E non mi riferisco alla psicologia detta –appunto- del profondo. Voglio giungere alle radici del mio essere, proprio a partire dalla demolizione del concetto di essere come sostanza tradotta in concetto. E’ vero, l’essere è presente ovunque, anche quando lo si nega. Ma appunto la negazione dell’essere si annida ovunque esso si presenti; le nostre capacità conoscitive e le nostre emozioni si aggirano tra la sua presenza e la sua assenza.
Filosofia e teologia da una parte e ogni tipo di fede dall’altra sono costruzioni da interrogare, se si vuole uscire da verità consolatorie. Mettere tra parentesi, come direbbe un fenomenologo, gli schemi mentali a cui siamo abituati, per me non è uno snob né un gioco, né un aggirarmi attorno a ciò che è stato detto finora da ogni parte; è esigenza di verità.
La frase che più mi interroga è: la verità vi farà liberi.
Come mai il predicato della verità è la libertà? E cosa è la libertà?
Cara Darianna, di quanto dici (14 u.s.) mi piace soprattutto l’uso che vogliamo fare di questi dialoghi diaristici: compiere un «atto sublime di egoismo», come «atto sublime di apertura agli altri diversi da noi»
Ausilia

domenica 14 febbraio 2010

Dare senso all'esistenza ...?

Da molto tempo non riesco più ad accostare o comprendere il significato o il valore di tutte le frasi che richiamano all'amore "di" dio o "per" dio o "da" dio! L'esistenza che fino ad oggi ho condotto è stata una esistenza a prescidere da questo "eventuale" amore, per quanto non ho mai avuto possibilità né modo di prescindere da dio. Forse più che prescindere dall'amore "di", "da" e "per" dio, nella mia esistenza ho dovuto imparare a prescindere dalla quantità indistinta di interpretazioni di questo amore, fornite da ogni dove, tese ad inquadrare e definire qualcosa che non può essere né inquadrato né definito. Si, fondamentalmente prescindo da queste interpretazioni, poiché non posso certo affermare di non essere stata oggetto dell'amore di dio.
Troppe dovrebbero essere le specificazioni, i distinguo da fare in ogni argomentazione, poiché si è perso il linguaggio mischiandolo e sovrapponendolo con quelle concettualità che ci sono state più utili al momento, utili a noi o a chi per noi. Questa immane tela di concetti che ci siamo costruite e che ci hanno costruito, ci imprigiona, ed il nostro desiderio di libertà e pari alla schiavitù che queste ci hanno indotto e nella quale abbiamo condizionato la interpretazione della nostra esistenza.
Oggi siamo qui, a dialogare a distanza, ma contemporaneamente così vicine, proprio perché - in un qualche modo e per un qualche motivo - il passaggio da quella schiavitù a questa dimensione libera ci è stato fatto compiere, e per quanto non nella terra promessa, siamo in questo nostro deserto: la nostra esistenza!
Si, perché è della nostra esistenza che si deve parlare, con la consapevolezza che questa altro non è che una parte, un frammento, di una esistenza più vasta e complessiva nella quale noi siamo immerse, come esseri umani, così come lo sono gli altri animali ed ogni altra cosa esistente. Ma proprio perché noi parliamo della nostra esistenza, anche diamo una interpretazione, un senso che sempre cerchiamo e sempre diamo, consapevoli che la vita è in quel senso, in quella interpretazione che, ora, vuole essere libera, finalmente liberata da quella schiavitù di dover essere, rese capaci di essere, finalmente capaci senza dover essere. Proprio perché ora siamo, e non dobbiamo più essere, parlare dei nostri dolori, sofferenze, ansie, gioie e felicità è fondamentale! Io così sono, e sono l'insieme di tutto quello che è il mio vissuto, e non ho più alcuna intenzione di asecondare una visione di me che non mi corrisponde, che non è più coincidente con la mia interpretazione della "mia" esistenza! Atto sublime di egoismo, ed è proprio per questo che è l'atto subline di apertura agli altri diversi da me; liberi o schiavi che siano, diversi, quindi nella piena possibilità di poter dialogare con me per quella che sono, e non per quello che vorrebbero che io fossi!