sabato 19 giugno 2010

Ferite

... e insulti. Grazie, non c'è di che.
E dovrei mettere punto con il "non ti curar di lor, ma passa e guarda".
Ma se il cuore langue di dolore, non per le ferite ricevute nel proprio sé, bensì per le ferite che una persona riporta nella dimensione assoluta del suo essere persona, fino a diventare fantoccio creato dagli altri, ... e tu che te ne accorgi, che vorresti dargli una mano, lenire qualche piaga..... sei costretta ad assistere impotente?
Soffro, questo è l'unica cosa davvero mia: SOFFRIRE. Le ingiurie che mi rivolgete, gente per bene, non mi toccano, anzi mi fanno ... quasi ... sorridere, tanta è la vostra scempiaggine. La sofferenza è invece sostanza del mio essere-in-situazione-d'impotenza.
Come deve essere terribile la sofferenza di Dio se assomiglia alla nostra del tipo descritto! Terribile. E intanto Lui non la ripudia, come io non mi nego la mia, rassegnandomi alla mia impotenza.
Capisco questo volersi assomigliare nel diritto a soffrire per l'altro vilipeso nella sua dignità di persona libera. Non capisco come mai Lui resista a soffrire, pur potendo vincere l'impotenza e sollevare l'altro. Ci deve essere un qualcosa di più valido della stessa sofferenza per il vilipendio dell'altro.
Ad occhi chiusi mi fido nel credere che la prova dell'impotenza abbia un valore ancora più eccelso del diritto sacrosanto di ciascuno ad essere rispettato nella sua dignità di persona libera. Avevano ragione i sapienti di tempi lontani nel dire che solo il dolore genera cose incredibilmente superiori ad ogni bene. E, mentre riconosco che le cose stanno così - historia docet - il cuore che sanguina in maniera immateriale ma irresistibilmente feroce, si mescola a quello infinito di Cristo.

domenica 13 giugno 2010

Ferite e riconciliazione?

A quest'ora cosa posso trovarmi a pensare?
La riflessione di Laura Denu, che si trova a questo indirizzo:
http://lauradenu-lauradenu.blogspot.com/2010/06/le-ferite-e-la-riconciliazione.html
mi ha posto di fronte ad una questione che, tutto sommato, avevo pensato di aver già sufficientemente affrontato. Il problema della riconciliazione lo avevo già valutato dal punto di vista teologico e dal punto di vista personale, avevo già tentato alcune correlazioni, ma il testo di Laura mi ha richiamata con forza a ripensare e, quindi, a rivedere. Questo è il bello del dialogo che a molti sfugge, il bello del poter rimettere in discussione con noi stesse le questioni che riteniamo già assodate.
Riconciliarsi con chi? Con cosa? Ecco cosa pone in una prospettiva nuova Laura, ovvero il riconciliarsi nasce e si produce dal fatto che si hanno ferite, ferite che pretendono di essere rimarginate, che pretendono di non essere più invasive nella nostra esistenza.
Possiamo aver accertato ed, in un qualche modo, anche accantonato queste nostre ferite, nascondendole o non considerandole più perché si è affrontato in modo chiaro ed onesto il "chi" le ha prodotte! Forse abbiamo anche ottenuto di non dover dare più tanto peso a quanto ha prodotto quelle ferite, ma nei fatti non abbiamo curato, non abbiamo rimarginato, non abbiamo sanato le nostre ferite, le quali ad ogni occasione risputano fuori. Sono quei fantasmi che ci inseguono e che si palesano di fronte a noi senza preavviso, senza una logica motivazione, che si riaprono improvvisamente riportando alla superficie gli stessi dolori, le stesse sensazioni.
Si è pensato di aver superato la questione, di aver risolto, di aver dato una motivazione sufficiente per poter passare oltre, ma così non è! Nei fatti, per quanto ci si possiamo esseci date motivazioni, spiegazioni e quant'altro, la ferita è rimasta aperta, e questo significa molto semplicemente che non c'è stata riconciliazione. Si, perché ciò che è fondamentale, è comprendere che la riconciliazione non è con "altri", ma è con noi stess*!
Chi mi ha ferita, chi mi ha oltraggiata, chi ha devastato la mia esistenza, chi mi ha sempre impedito di essere, per quanto sia stata la persona o le persone che mi hanno provocato la ferita, non sono la ferita. Ma ciò che a me fa male, fa male oggi, è la ferita che è rimasta aperta, che è producente dolore, ed è quella che pretende di essere curata, guarita, rimarginata.
E penso a me, penso a quante ferite ho rimarginato, quanta riconciliazione ho operato su me stessa. Penso che il mio dolore, la mia paura, la mia profonda sensazione di fallimento, il mio sentirmi un "re mida al contrario", sia proprio indice che nella realtà ho ancora ferite profonde che non ho curato, che ho voluto, tentato di dimenticare.
Una giornalista con inistenza mi chiedeva se io avevo perdonato chi mi aveva devastato l'esistenza. Cosa avevo da perdonargli? La mia esistenza era stata messa nelle mani di penne senza scrupoli, di personaggi indecenti che per soddisfare i loro pruriti o quelli dei loro presunti lettori né avevano fatto scempio. Chi mi aveva ferita, chi mi aveva oltraggiata non era certo quell'individuo che, malato, aveva fatto le sue nefandezze! No! La ferita mi era stata inferta da altri soggetti, mi era stata inferta dalle istituzioni dello Stato, quelle istituzioni che io avevo onorato e servito nella mia dimensione di cittadina libera e tesa ad essere consapevole. Alcune istituzioni dello Stato, le strutture di una realtà ecclesiastica, la becera attività di chi scrive su giornali e fa televisione senza il minimo di professionalità e di deontologia professionale, questi mi avevano ferito ed oltraggiato!
Loro sono la causa del mio dolore, della mia paura, della mia profonda sensazione di fallimento, del il mio sentirmi un "re mida al contrario"! Ma loro sono solo la causa, non la ferita! Ed io devo guardare bene in faccia la mia ferita e smetterla di essere distratta da chi me l'ha inferta. Loro tutti, comunque sia, servi di qualcuno e qualcosa!
La mia ferita che c'è, ed è quella con la quale io devo fare i conti veramente! Ma io con questa ferita mi devo "riconciliare", non devo cadere nella trappola della "giustificazione", poiché non sono giustificabile né io né loro!
Si, io non sono giustificabile, poiché ho creduto - e credo - che un mondo migliore sia possibile, e ho creduto - e credo - che ci sia il diritto per ogni persona di avere una possibilità reale. Dovrei forse giustificare questo che credo? No! Non ci penso proprio a dover trovare giustificazioni a ciò che credo, per quanto queste mi abbiano esposta e continuino ad espormi. Ed ogni volta che mi espongo e mi rendo bersaglio, nella mia più piena consapevolezza di quanto sto facendo, diventerebbe assolutamente ridicolo che io trovassi pure l'onta, verso le ferite che mi procuro, di dare delle giustificazioni. Ed è proprio per questo che io credo che, contemporaneamente, non posso trovare alcuna giustificazione a quelle persone, a nessuna di quelle persone che hanno rappresentato le istituzioni dello Stato, che hanno rappresentato i media, che hanno rappresentato la dimensione ecclesiale!
Questa mia ferita è troppo seria per me, perché io la insulti con giustificazioni! Ma ogni mia ferita è seria, e nessuna di queste io le ho insultate con giustificazioni, per questo si sono rimarginate, per questo sono divenute fregi di cui onorarmi.
Ma la ferita che ho ancora aperta mi da dolore, e per quanto io sapppia e conosca profondamente quale grandezza essa produca, quale senso profondo essa ponga di fronte alla storia, mi da ancora dolore, perché la mia ferita ha dei nomi precisi, ed è per questo che sempre riappare e non guarisce. La mia ferita si chiama abbandono, si chiama slealtà, si chiama pregiudizio, si chama meschinità, si chiama opportunismo.
Potrei dire che questa è la "legione" che mi tormenta, quel tormento che ancora attende che qualcuno mi liberi!