sabato 13 marzo 2010

Sono una viaggiatrice

Cara Ausilia,
Come ben sai, il mio vissuto ha un notevole peso nello sviluppo dei miei ragionamenti e nell'organizzazione del mio pensiero. Alcune mie affermazioni trovano - forse - senso proprio nel momento in cui si conoscono dei momenti salienti del mio vissuto.
Mi chiedi giustamente spiegazione se io prima avessi avuto ... felicità. Non lo so! Tutti narrano di "felicità" negandola o affermandola, esprimendo con questo termine astratto qualcosa che cerchi di identificare un qualcosa che hanno vissuto o che ritengono di non aver vissuto. Io non lo so semplicemente, poichè ciò che normalmente vedo descritto come "felicità" mi è qualcosa di estraneo, qualcosa di fronte al quale mi sento straniera. Ho conosciuto la gioia, la passione, l'esaltazione così come ogni loro contrario. Come te, avvicendo negazione ed assenza, schiavitù e liberazione.
Uscendo dalla metafora ed impoverendone l'immagine evocativa - che tu hai ben colto - l'anfora di cui parlo è la "mia" fede. Oggi questa è vuota, quindi liberata, da un dio che mi sono trascinata dietro per troppo tempo come un cadavere da quando a cinque anni ho naufragato.
Sono nata ed ho vissuto serenamente per i primi cinque anni della mia esistenza, poiché in quegli anni nulla poneva in discussione chi ero. All'età di cinque anni, quasi sei, mi viene imposto di mettermi il grembiulino nero ed il fiocco azzurro, invece del grembiule bianco ed il fiocco rosa. Questa imposizione mi disse che gli altri mi leggevano in modo diverso da come io mi comprendevo. Per farmi diggerire o comprendere il perché di questo grembiule nero e fiocco azzurro, mia madre mi pose di fronte a mia sorella nata da poco. Eravamo molto diverse nel fisico, e questa diversità era lampante. Nell'estremo tentativo di recuperarmi chiesi quando sarei diventata così; la risposta fu "mai!", perchè io ero un maschietto e lei una femminuccia. Questo fu il mio naufragio, poiché mai nessuno mi avrebbe ri-conosciuto. Fu questo il momento in cui iniziai a costruire la mia anfora.
Questa anfora si rompe nell'ottobre del 1997, quando fui costretta ad accettarmi per quella che effettivamente sono: una donna con un fisico maschile. Parafrasando i primi capitoli della Genesi, c'è una domanda che per decenni aveva risuonato a vuoto nel giardino della mia esistenza: "dove sei?" A quella domanda ero sempre fuggita anteponendo il mio abito, la mia maschera, questa mia anfora! Ma quella sera, questa domanda, mi colse nuda e mi costrinse a rispondere semplicemente "eccomi"! Non ci fu felicità, ma angoscia; quella domanda che mi aveva colta nuda non proveniva dal dio dell'anfora e mi chiedeva il "perché" avessi vissuto così tanto tempo mangiando il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Risposi semplicemente che mi sembrava più facile!
Chi mi ha posto la domanda, e che sul fare della sera mi incontra, non mi ha giudicata, contrariamente al dio dell'anfora. Nietzsche morente di quale dio parla?
Sono una viaggiatrice, ed il mio punto di partenza è il mio naufragio che mi ha fatto perdere il senso di ogni arrivo! Viaggio ma non ho alcuna meta, non ho alcun approdo, ma solo la profonda consapevolezza di esserci in questo "qui ed ora" della storia, nella consapevolezza che questo è il miglior mondo possibile.
Un mondo senza dolore, senza schiavitù, senza ingiustizia, senza morte, sarebbe un mondo senza gioia, senza libertà, senza giustizia, senza vita! Sarebbe un mondo senza memoria. Sono una viaggiatrice, e non posso pensare a nulla che sia statico, perfetto, immobile! Forse è per questo che dico di non conoscere la felicità! Sono viva perché sono inqueta, costantemente in agitazione, costantemente alla ricerca di nuove cose, di nuovi spazi. Non ho interesse a raggiungere l'orizzonte, piuttosto mi affascina l'inseguirlo solo perché so che questo si sposta insieme a me. Non so se riesco ad esprimere quanto sento, ma tutto ciò che mi presenta una fissità, un limite, un recinto, mi annoia, mi infastidisce, non è nel mio interesse.
Non posso parlare di "dio" come se fosse "uno", definito, standarizzato da dogmi e da catechismi. Posso parlare di un dio che conosco, ma non so chi sia! Uno fra i tanti dei, diverso da ogni deità! Un dio che ha rinunciato ad essere assoluto e che si è posto nella relatività al momento che si è posto di fronte alla mia esistenza, alla mia pretesa di darne una interpretazione. Un dio giusto perché non ha giustizia di riferimento, che non ha distinzione fra bene e male. Un dio che la storia, la mia storia, se la gioca giorno per giorno e che non sa cosa accadrà domani, perché lo può scoprire solo vivendo il presente con me!
Sono convinta, cara Ausilia, che non esiste un pieno così pieno come il vuoto totale, ed in questo vuoto che finalmente trovo lo spazio di libertà a cui mi sono sentita chiamata.