sabato 2 ottobre 2010

Parlo con te, preghiera

Mentre tu, Darianna, taci, ed è facile capire perché, io scrivo ancora.
Mi chiedo a chi vada la lettura di questi miei abbozzi. Forse sono io soggetto ed oggetto di questa scrittura. Potessi far capire ciò che 'passa' dentro di me, non sarebbe inutile a nessuno, né ai miscredenti totali né ai fervidi seguaci di un pensiero di fede che forse hanno assimilato da quando erano bimbi.
Parlo invece con te, preghiera, che almeno sei sempre lì ad aspettarmi.
La prima cosa che ti dico è che mai come ora mi sono sentita disperatamente sola e mi sei rimasta solo tu. Mi appartieni; sei l'ordito in cui hanno (ed ho) tessuto tutto il resto di me. Sei l'unico genitore rimastomi, che compendia tutte le persone a cui sono stata apparentata.
Perciò ti tengo stretta a me: in te riconosco il bisogno di sapere che non sono venuta sola al mondo, e se lo sono diventata, fino a che emanerò l'ultimo respiro, tu resterai con me, così come sei: il tu-ignoto, o il tu dentro il quale c'è forse qualcuno Ignoto. Come potrebbe vivere un io senza un tu? Ti accetto così come sei, purché possa parlarti come ad un tu.
Ma l'ultimo istante vorrò dirti: cosa vuoi ormai più? Ti ho pregato perché ti ho riconosciuta parte-altra di me; sei l'unica che sei stata sempre a mia disposizione, e anche quando io facevo la sorda, tu restavi ad aspettarmi.
Ora, tra non molto, ci lasceremo. E’ bene che ci diciamo le cose fino in fondo.
Ti rimprovero e ti ammiro perché non mi hai detto mai dove andrò; tu lo sai che, quando mi prestavi in formule delle risposte, io non ci credevo, tanto erano rozze e dissennate, melliflue o sciocche, retoriche o pietose.... (Solo qualcuna, sublime poesia, fa nobile eccezione). Le recitavo come fossi stata una bimba che succhia inconsciamente il latte materno senza preoccuparsi di altro che di sfamarsi e di abbracciarsi a quel petto che glielo dava. Sì, conforto me ne hai dato; ma anche abbandoni, nausee (di te); mi hai fatto provare la vicinanza di Qualcuno e di Alcunché, ma a volte ti prendevi gioco di me, facendomi sparire tutto e mi lasciavi parole che ripetevo senza sentimento o mi rifiutavo di ripetere a pappagallo.
Ora, verso la fine comincia la festa, così bene anticipata dalle meravigliose costruzioni poetiche e sonore?
Penso piuttosto che comincia già ora l'occultamento nel ventre dell'universo, dove sarò ridotta a quasi-nulla. Ma allora, dimmelo questo per favore, che c'entra ogni aspettativa con la vita che ho condotta finora?.
Non insisto su questo tasto, perché i 'pusilli' si scandalizzano; vogliono che parli di anima, di spirito, di Dio. Io non so nulla di tutto questo, ma mi comporto mentalmente e nei momenti di resipiscenza, "come se ci fosse".
Tu, invece, preghiera, non richiedi una fede. Mi metti in bocca ed in cuore parole, così come 'mi vengono', senza tener conto se non corrispondono alle formule. Io, per compensarti della tua magnanimità, sai cosa farò quando ti userò per 'ultima volta? Ce la metterò tutta a raccogliere i miei sentimenti, pensieri e virtù teologali per emanare un grido di severo rimprovero a chi appesta il mondo con ogni specie di male e di dolore. Tu non hai fatto nulla a favore di quanto io anelavo riguardo a ciò; forse non potevi; non sei che una impotente altera-ego. E a me non resta che la rivincita di sfogare tutta la rabbia contro il mal-vivere di tutti nel mondo.
Dopo di che, reciterò il mio ultimo AMEN.
Sì, amen, perché, lo riconosco, c’è tanta ricchezza in me. So che - sarà stato grazie al tuo aiuto, o preghiera - il bene l'ho cercato e l'ho amato davvero, e per esso, e solo per esso, ho lasciato che la mia vita continuasse accanto a chi CAPISCE COSA E' SOFFRIRE. A modo mio, io, disperatamente sola, ho cercato - almeno dentro di me - di stare accanto ai disperati della terra.
Se in cambio di questo potessi ottenere un po' di pace.... Ma no, allora mi smentirei; sarebbe il crollo dell'unica idea sana che mi fa partecipe del mondo.

mercoledì 29 settembre 2010

Parlo al dio di Giobbe

Cara Darianna, tu sei priva di speranza e me ne dispiaccio. Ma io sarò più catastrofica perché dirò la verità che tutti vogliamo nascondere nei modi più ambigui. Mi si rimprovererà la mai mancanza di fede e mi considereranno perduta moralmente e spiritualmente? Facciano. S’accomodino in salotto a parlarne. Io questa volta voglio parlare così. Questa libertà me la prendo col dio di Giobbe.:
Sofferenze parlano in modo vario nei visi di persone provate dalla sventura.
Permettetemi di cominciare dal coniglione che se ne sta chiuso (in una casa dove vivo per un po’ di tempo) SEMPRE in una gabbia che appena appena lo contiene. Non gli fanno mancare cibo né acqua perché deve vivere per dare a gente stupida la soddisfazione che esiste un vivente d’altra specie, da accudire, da guardare una volta tanto (non tanto). Lui qualche volta batte non so cosa quando vede qualcuno che si muove dietro la sua prigione senza spazio vitale. Ho provato a guardare i suoi occhi. No so se implorassero liberazione, ma certamente portano stampata l’atrocità della sofferenza: e sì! Questa la capiscono gli animali, e la vivono nell’infelicità assoluta. Mi verrebbe da gridare che la ferocia umana è insopportabile, che io non ci sto bene per questo in un mondo fatto così.
E non mi si dica che ci sono moltissime altre sofferenze, soprattutto quelle umane. Elimino subito questo termine ‘soprattutto’. Il martirio del coniglio non è uno che si aggiunge agli altri come un oggetto si accumula agli altri. Il coniglio è un essere singolo che patisce, smaltisce in sé il destino notte e giorno, SEMPRE.
Vi assicuro che le sofferenze di tutti me le sento addosso, e se parlo del coniglio è perché lo vedo ogni giorno. Mi sarebbero più sopportabili le mie, se fossi io un’eccezione. Invece che visi, Dio mio! Gente trasportata in carrozzella: chi le guida sempre soddisfatto di offrire una divagazione; ma il sofferente è un rassegnato, piegato ad un’insopportabile inerzia. Ma la vita per lui c’è solo per poter digerire il suo stato pietoso: perché?
E poi, e poi? Vi pare che ignori le schiavitù di ogni giorno, solo perché ho accennato a queste?
Predicatori di ogni giorno, retori tutti! anche se sotto i panni di ‘pezzi grossi’, politici soprattutto: vi ODIO. Lasciatemelo dire. Vi associo senz’altro ai mafiosi. Tutti, altrimenti vu contentereste di un piccolo stipendio: o fate questo o non credo in nessuno di voi.
Solo di tratto in tratto si vede qualche luogo – ahimè quanto pochi ce ne sono! – dove si sfrutta quel che di vitale sussiste in queste vite morte e si ridà modo di vivere la loro vita in una forma di normalità accettabile. Fino a quanto si prenderanno cura di questi? Quando diverranno del tutto inabili, la crudele natura non potrà essere sconfitta, ed allora anch’essi ritorneranno ad essere conigli nella gabbia del proprio corpo e degli avari controllati spazi che saranno concessi a beneficio degli stipendiati attraverso la loro prigionia.
Ci si lamenta della mancanza del necessario per la sussistenza delle famiglie. Si vogliono stipendi più sicuri. A parte il fatto che spesso gli stipendi non bastano perché non bastano a soddisfare bisogni indotti, spesso inutili o dannosi, E’ questo il motivo del contendere tra destra e sinistra? Li sopporterei se si preoccupassero di questo (assieme a tutto ciò che è necessario perché non si muoia di fame e di freddo, di mancanza di istruzione e di mezzi per comunicare con la vita sociale… e non ho voglia di specificare). Ma ma ma…. La vita sociale è malata, e si rimedierebbe di più senza le politiche ladre a tutto tondo, da sostituire attraverso una gara a denudarsi di privilegi e di prestigio.
Ma, Dio mio, vuoi che questo mondo lo aggiustino questi signori, qualche verginella che prega in clausura, qualche devota di P.Pio & company?
Per ora mi fermo qui perché non trovo risposte e temo le risposte arroganti di chi parla di SPERANZA, senza pensare che questo mondo bisogna rifarlo daccapo, o…. che sia distrutto. Subito.