martedì 8 giugno 2010

...mie far le tue sofferenze

Col Nulla un giorno inutil m’apparve il confronto
Qual ebbrezza bearmi d’immenso
senza meta nuotarvi sperduta. Eppur non potevo
baciarti perché da me Altro restavi

Altro giorno accostata a Tue piaghe
dal dolore del mondo ti vidi ferito
Ormai t’abbracciavo e baciavo da amante
null’altro volendo che mie far le tue
sofferenze

lunedì 7 giugno 2010

Ostinazione o perseveranza?

Ho un progetto! Forse tutte le persone hanno un progetto e per questo e su questo spendono la loro esistenza. Se è così, io sono una delle tante che, appunto, ha un progetto che persegue da decenni, nel quale ha investito tutta la sua esistenza, sotto ogni aspetto.
Se io faccio un'analisi obiettiva della mia esistenza in relazione a questo progetto, quindi a ciò che ha sempre dato senso, significato, spinta, pensiero, posso solo constatare come questa sia stata un effettivo susseguirsi di insuccessi.
Sono stata sconfitta sul piano ecclesiale, sconfitta sul piano culturale, sconfitta sul piano sociale ed, infine, sconfitta sul piano politico.
Questa volta mi trovo di fronte alla possibile sconfitta sul piano economico. Mi chiedo se questa mia sia ostinazione o perseveranza.
Ovviamente ogni valutazione deve essere fatta a partire da qual è l'oggetto del progetto.
Nella mia "follia" ho sempre ritenuto che per quanto sia impossibile vivere in una società giusta, è quanto meno possibile operare e lavorare perché la società sia meno ingiusta, quanto meno si possa costruire degli spazi di giustizia e di equità.
Nel pieno della mia adolescenza, in un qualche modo, attraverso la predicazione di mio padre, compresi un elemento che è divenuto normativo nella mia esistenza. D-o ha una diversa e profonda attenzione nei riguardi di chi è nella totale marginalità. Nel corso dei miei studi venni folgorata dal cap. 4 del profeta Osea, dove esprime la condanna verso profeti e sacerdoti perché negano la conoscenza al popolo ed il popolo muore per mancanza di conoscenza, tanto che tutto il loro culto e la loro "pietà" è come la nebbia che si dirada al primo sole. Altro fatto determinante fu la comprensione che tutta la "torah" ha come nodo fondamentale il fatto che d-o è garante del diritto degli ultimi.
Da qui parte l'idea che ogni possibile sviluppo ed ogni possile "emancipazione" si può verificare solo partendo dagli ultimi. La mia profonda convinzione è che solo nel momento in cui noi si attua la logica che gli ultimi hanno diritto di serdersi hai primi posti - se non universalmente, almeno in alcuni spazi sociali - potrà veramente esserci una reale emancipazione.
Così l'idea che soggiace al progetto è quella di strutturare un sistema che abbia come obiettivo e fuoco le persone "ultime".
Ciò che ho sperimentato è che le prime persone che vanno contro a questo progetto e che lo contrastano sono proprio le persone socialmente "ultime".
Ora mi chiedo, di fronte alla possibilità dell'ennesima ed ultima sconfitta, se la mia è stata ostinazione o perseveranza, ben consapevole che io ritengo di aver perseverato nel perseguire questo progetto.
Molti sono i pensieri che mi seguono, che sostanziano la mia intera esistenza in relazione al progetto. Forte è il senso di chi ha compreso la necessità di essere "vuote" per poterci lavorare, per poter effettivamente portare avanti una cosa del genere. Non si può avere propri profumi se si parte dagli ultimi, non si può avere proprie verità. La condizione necessaria è l'essere svuotate completamente di sé, per esserci nella consapevolezza piena di sé.
Non che questo essere svutate dia una qualche garanzia di risultato positivo per il progetto stesso, ma piuttosto perchè questo essere svuotate implica e porta a comprendere che non diventa più normativa o fondamentale che un risultato ci sia. Il senso non sta più nell'ottenere o raggiungere qualcosa, ma semplicemente nell'esserci in quel qualcosa che ha il suo senso semplicemente in sé, nel suo esprimersi nella storia, nel suo determinare la quotidianità di qualcuno, nel divenire speranza nella disperazione.
Essere vuota implica non legare più se stesse a qualcosa, non essere più nella logica del poter dare e nel poter ricevere. Niente posso dare, niente posso ricevere. Come ho detto la mia "anfora" è rotta, ed in quanto tale non può più dare né ricevere.