giovedì 19 agosto 2010

Quel che resta

Quel che resta
Come al solito quando tu ti effondi come un fiume in piena, io mi fermo ad afferrare un solo passo, per timore di sperdermi. Ecco l’espressione che più mi ha colpita:
“….. La convinzione che ancora qualcosa si possa dare sta finendo, e con essa la voglia e la possibilità della vita. Esisteremo, nella storia, come corpi! La storia scorrerà ancora su me, levigandomi ancora inutilmente, fino a quando la sequenza finirà”.
E’ certamente duro pensare alla fine di un qualcosa da dare. Che resta se si toglie questa possibilità, se non l’attesa che anche quel-che-resta, il corporeo decadente, venga “levigato”? Bello questo termine che mi fa pensare a tante similitudini: alla pietra levigata, alla scarpa lucidata, alla tomba di un marmoreo splendente, perfino ad un viso lucidato dal trucco…. Sono bizzarra con questi richiami della mia fantasia. Eppure, attraverso essi riesco ad aggiungere un mio pensiero.
Da un po’, nella mia quarta età, medito sul senso del togliere, diminuire, perdere. Sa’ che mi pare evangelico? Almeno io gli do questo senso. Ho cercato sempre di dar posto a Dio nel mio io, comprendente tutto di me, dal corpo allo spirito. Pensare che egli vi si possa intronare mi va molto bene. Sono sicurissima che il mio io assunto in Dio vive della stessa potenza di Dio (intendendo per potenza, le sue potenzialità infinite). Quante volte, invocando una persona cara che mi è mancata, io non so distinguere tra invocare lei o Dio. Certamente Dio non risucchia la persona nel nulla. Certamente il creato ha una sua eternità in Dio. Levigata (ma non truccata!). Ausilia