venerdì 13 agosto 2010

questa sera

Questa sera è una di quelle sere in cui si darebbero le dimissioni da ogni cosa! Dalla vita sostanzialmente! Non perché non si ritenga valido, piacevole, importante quanto si sta facendo, ma semplicemente perché si ritiene che il nostro apporto sia sostanzialmente finito. Ci sono giorni che si vive e sere in cui si sente il giungere della "sera" della nostra vita, così che la nostra esistenza si esaurisce da sola, come una logica sequenza.
Ma sono sere di giorni, e non sere di esistenze, per cui quella voglia di dare dimissioni da ogni dove, la trattieni pensando che domani, a mente lucida, potresti darle meglio,con maggiore considerazione delle cose, con maggiore razionalità di te e di quanto ti circola intorno.
Ma questa sera, la voglia di dare le dimissioni da ogni dove, si tradurrà semplicemente in un andare a dormire. Domani e dopodomani vedremo se questa dimensione di finitezza, persisterà. Se sarà ancora presente, allora si daranno le dimissioni, lasciando il campo ad ogni più pronta intelligenza, ad ogni più acuta osservazione, ad ogni più limpida strategia, ad ogni più valida consideazione delle cose.
Noi non abbiamo mai avuto parola, abbiamo preso parola con fatica, tanta, tanta! Ora dobbiamo ancora lottare per avere parola e ci si chiede il perché. Ma il perché può anche stare nel fatto che abbiamo finito di poter dire. La parola che abbiamo conquistata si è anche subito esaurita. Il tacere potrebbe essere adeguata condizione del nostro essere? Non so del vostro, ma persistente è la sensazione che lo debba essere per il mio essere. Forse, anche la possibilità di esserci può venire meno, in quanto non essenziale, non più richiesto ne da me stessa ne dagli altri. La convinzione che ancora qualcosa si posssa dare sta finendo, e con essa la voglia e la possibilità della vita. Esisteremo, nella storia, come corpi! La storia scorrerà ancora su me, levigandomi ancora inutilmente, fino a quando la sequenza finirà.
Bacio

domenica 8 agosto 2010

qual è il senso?

Non ho buone notizie da dare, tutto è come ieri e spero che non sia come domani. In questi tempi di attesa, di silenzio, di tensione, si aprono - qualche volta - delle finestre di riflessione su se, sul proprio "mondo", tali da potersi proporre come momenti di riflessione comune.
Si parla spesso di affetto, quando non si arriva a parlare di "amore": due parole forse troppo usurate dal tempo e svilite nel loro significato. C'è da chiedersi quale sia ancora il loro senso, quale il loro significato nel nostro contesto storico. Forse dovremmo inventare nuove parole per dire il loro significato? Forse dovremmo ridare spessore a qualcosa che è stato volgarizzato al punto di non aver quasi più senso?
Ma cosa si dice e cosa si vuole dire quando si parla di "amicizia" o si parla di "affetto"! Quale peso può veramente avere la frase "ti voglio bene"? Il linguaggio corrente ha trasformato queste parole in un generico e molto fluido intendere di un interesse non definito nel tempo e nell'intensità. Focalizzo la parola "amicizia" poiché ritengo che sia fondamentale, primaria! E ridiamo senso a questa parola senza produrci in pericolose definizioni o pericolose descrizioni, ma piuttosto scoviamo nella nostra mente quale sia il vero senso di questa parola "amicizia", poiché solo riscovando nella nostra memoria potremmo poi ridare senso alle altre parole, come affetto, amore e quant'altro.
Non ho molti amici ed amiche, piuttosto ho una considerevole quantità di conoscenze con le quali condivido anche molto, ma con le quali non c'è una reale comunione, una reale condivisione di "mensa".
La persona che definisco "amica" è la persona che conosco per quello che è, di fronte alla quale non ho alcuna aspettativa, ma di cui godo la sua esistenza e possibile presenza. Non prentendo la sua intelligenza, non pretendo alcuna cosa, piuttosto è lo scoprire quotidiano di avere una modalità comune nel pensare, nel procedere; anche nella diversità di pensiero la modalità è comune. Non c'è uniformità, piuttosto il riconoscersi ed il comprendersi, senza bisogno di trasferire sull'altra persona nostri desiderati, poiché sono sufficienti i suoi che non necessariamente sono i miei, che non necessitano di essere soddisfatti, ma che trovano soddisfazione nel quotidiano senza sforzo. Nell'esistenza si trova il vivere senza lo sforzo di doverlo fare.
Se c'è attesa, aspettativa, pretesa, necessità ... può esserci amicizia o non piuttosto delusione, bisogno, insoddisfazione? Di chi potrò mai essere io amica, che nulla chiedo e nulla do, ma tutto metto a disposizione e tutto uso?
Ed in ciò che metto a disposizione perché dovrei pensare a gratitudine? Perché dovrei pensare a ringraziare? Perché?
Il non senso del dare ed avere che mi svuota ogni termine che indica, senza definire, quello che è il vicendevole relazionarsi fra persone libere o liberate. E' il gioco sottile del giudizio del bene o del male che mi svilice la figura di fronte a me, pretendendo che io interpreti la maschera che ho di fronte senza godere di ciò che mi rappresenta.
Ma gioco basso o troppo alto nelle relazioni dove io sono di fronte ad un io sono che dialoga o tace, ma in ogni caso discute e ragiona con me su me per me.
Qual è il senso? Me lo chiedo e mi guardo in giro cercando, forse cieca, forse ottusa, forse abbagliata. Forse in quel dubbio interrogante che non mi lascia tregua, ma che mai prende il sopravvento uccidendo la vita che voglio vivere in questa mia esistenza, unica, che unica rimane anche se in compagnia.