lunedì 1 novembre 2010

La caduta delle foglie d'autunno

Cara Darianna, tu esprimi tante idee 'tue', che mi scoraggi se voglio rispondere a tutto; ma va bene così. Io espungo solo un qualche concetto come quello su Dio, il quale costituisce, secondo te, l'assoluto di ciascuno.
Per me non è così. Vado perdendo il concetto di assoluto nel senso stretto della parola, ma faccio del rapporto con me stessa un laboratorio di sofferente paziente speranzosa ricerca. Ogni giorno cade nel mio autunno spirituale una o più foglie; so che cadranno tutte; e mi piace questo aspetto del cambiamento delle stagioni. Parole sacrosante come amicizia, impegno, e tutto ciò che si riferisce al modo di gestire il rapporto con me stessa e con gli altri, scivolano pian piano sulla terra umida a marcire, e intanto tra i tronchi denudati si fa spazio maggiore per l'attraversamento della luce. Appena le mie sofferenze risultano sopportabili, tutto, anche questa caduta degli assoluti, mi dona serenità e senso di abbandono fiducioso verso Chi ha vovoluto che io esistessi.
Ci sono tanti rimescolamentti nella mia vita interiore, così interessanti, da poterli esprimere solo in poesia. Ed è a questa che mi dedico preferibilmente in quest'ultima mia fase di vita. Ho tanto da dire, soprattutto agli spaventati del mio pessimismo (chi si permette chiamarlo così?) perché non è mai brutta la verità che ne risulta, appunto perchè è sempre un po' più vera della precedente. La depongo in un braciere perchè arda, bruci, fosse anche per distruggere, se ci sono cose da distruggere.
Ma quanto a fare dell'io il proprio Dio, NO NO NO. Ne parlerò un'altra volta. Tua Ausilia

domenica 31 ottobre 2010

Riflessioni libere

Non so se sia effettivamente giusto dire "riflessioni libere" per il tentativo di esprimere un segmento di pensiero. Forse avrei dovuto titolare questo messaggio come riflessioni non necessariamente coordinate, e questo per eludere il tema che mi corre nella testa e che si richiama ai messaggi precedenti. Forse il titolo più adeguato sarebbe "parliamo con dio", ma quante cose avrei dovuto dare erroneamente per scontato? Troppe!
C'è la diffusa opinione che vi sia un solo dio che ciascuno chiama ed individua nella modalità che più gli è consone. Opinione diffusa che si contraddice da sola nel momento in cui in troppi si affaticano a diffondere una loro visione di questo dio, come l'unica visione possibile e vera. Se il dio è unico, perché affannarsi tanto? Si affannano tanto a girare il mondo in lungo ed in largo per portare la loro visione, perchè profondamente sanno che non è vero che vi è un solo dio, ma che vi sono tantissimi dei, tanti quanti sono le persone che hanno un pensiero assoluto. Direi che è la mistificazione non superata dell'ultima evangelizzazione che vorrebbe assimilare per inculturazione chi non è assolutamente assimilabile. Ma ciò che importa è dare l'impressione di un pensiero unico, di un unico riferimento, di una unica possibilità di gestione e di comprensione delle cose. Tutto gira intorno a questo pensiero assurdo di unità che troppo arriva ad assomigliare a quanto scritto nel capitolo 11 della Genesi; si, la così detta storia della Torre di Babele. Questa pretesa di unità, questa pretesa di unicità, questa pretesa di riportare tutto ad uno, ad una esclusiva norma, non è altro che la replica di quanto raccontato in quel capitolo, così come il disastro sociale, politico, economico e, soprattutto, culturale di cui siamo autori e spettatori, altro non è che il logico epilogo di questa ripetizione ottusa di quella narrazione mitica e simbolica contemporeaneamente.
Si dovrebbe avere il coraggio di parlare del proprio dio, così da avere il coraggio di parlare con il proprio dio. Coraggio di vedere le differenze, di enfatizzare le diversità, scoprire come ciascuna persona poi esprime con questa sigla "dio" i propri assoluti etici, morali, ideologici o, molto più semplicemente, i propri interessi soggettivi.
Parlare con dio, parlare ciascuna persona con il proprio dio, significherebbe compiere un atto di verità con se stessi e se stesse. Significherebbe fare i conti veramente con il proprio assoluto e dialogarci se si ha questa possibilità. Provarci non è immune dal dolore, non è immune dal dover fare i conti con se stesse e con la propria storia; implica porsi nella dolorosa condizione di mettere a nudo se stesse di fronte ad un autoinganno che si è perpetuato per tutta la nostra esistenza. Implica trovarsi di fronte a se stessi e non potersi più nascondersi.
Ma poi, ne abbiamo veramente la voglia?