lunedì 7 giugno 2010

Ostinazione o perseveranza?

Ho un progetto! Forse tutte le persone hanno un progetto e per questo e su questo spendono la loro esistenza. Se è così, io sono una delle tante che, appunto, ha un progetto che persegue da decenni, nel quale ha investito tutta la sua esistenza, sotto ogni aspetto.
Se io faccio un'analisi obiettiva della mia esistenza in relazione a questo progetto, quindi a ciò che ha sempre dato senso, significato, spinta, pensiero, posso solo constatare come questa sia stata un effettivo susseguirsi di insuccessi.
Sono stata sconfitta sul piano ecclesiale, sconfitta sul piano culturale, sconfitta sul piano sociale ed, infine, sconfitta sul piano politico.
Questa volta mi trovo di fronte alla possibile sconfitta sul piano economico. Mi chiedo se questa mia sia ostinazione o perseveranza.
Ovviamente ogni valutazione deve essere fatta a partire da qual è l'oggetto del progetto.
Nella mia "follia" ho sempre ritenuto che per quanto sia impossibile vivere in una società giusta, è quanto meno possibile operare e lavorare perché la società sia meno ingiusta, quanto meno si possa costruire degli spazi di giustizia e di equità.
Nel pieno della mia adolescenza, in un qualche modo, attraverso la predicazione di mio padre, compresi un elemento che è divenuto normativo nella mia esistenza. D-o ha una diversa e profonda attenzione nei riguardi di chi è nella totale marginalità. Nel corso dei miei studi venni folgorata dal cap. 4 del profeta Osea, dove esprime la condanna verso profeti e sacerdoti perché negano la conoscenza al popolo ed il popolo muore per mancanza di conoscenza, tanto che tutto il loro culto e la loro "pietà" è come la nebbia che si dirada al primo sole. Altro fatto determinante fu la comprensione che tutta la "torah" ha come nodo fondamentale il fatto che d-o è garante del diritto degli ultimi.
Da qui parte l'idea che ogni possibile sviluppo ed ogni possile "emancipazione" si può verificare solo partendo dagli ultimi. La mia profonda convinzione è che solo nel momento in cui noi si attua la logica che gli ultimi hanno diritto di serdersi hai primi posti - se non universalmente, almeno in alcuni spazi sociali - potrà veramente esserci una reale emancipazione.
Così l'idea che soggiace al progetto è quella di strutturare un sistema che abbia come obiettivo e fuoco le persone "ultime".
Ciò che ho sperimentato è che le prime persone che vanno contro a questo progetto e che lo contrastano sono proprio le persone socialmente "ultime".
Ora mi chiedo, di fronte alla possibilità dell'ennesima ed ultima sconfitta, se la mia è stata ostinazione o perseveranza, ben consapevole che io ritengo di aver perseverato nel perseguire questo progetto.
Molti sono i pensieri che mi seguono, che sostanziano la mia intera esistenza in relazione al progetto. Forte è il senso di chi ha compreso la necessità di essere "vuote" per poterci lavorare, per poter effettivamente portare avanti una cosa del genere. Non si può avere propri profumi se si parte dagli ultimi, non si può avere proprie verità. La condizione necessaria è l'essere svuotate completamente di sé, per esserci nella consapevolezza piena di sé.
Non che questo essere svutate dia una qualche garanzia di risultato positivo per il progetto stesso, ma piuttosto perchè questo essere svuotate implica e porta a comprendere che non diventa più normativa o fondamentale che un risultato ci sia. Il senso non sta più nell'ottenere o raggiungere qualcosa, ma semplicemente nell'esserci in quel qualcosa che ha il suo senso semplicemente in sé, nel suo esprimersi nella storia, nel suo determinare la quotidianità di qualcuno, nel divenire speranza nella disperazione.
Essere vuota implica non legare più se stesse a qualcosa, non essere più nella logica del poter dare e nel poter ricevere. Niente posso dare, niente posso ricevere. Come ho detto la mia "anfora" è rotta, ed in quanto tale non può più dare né ricevere.

2 commenti:

Ausilia ha detto...

Non so , cara Darianna, se la tua sia perseveranza od ostinazione. Ma, nel vederti elencare la serie dei fallimenti, mi fermo al tuo ultimo: Un progetto che non valga come progetto ma per la cosa di cui è progetto.
Utinam! non è difficile trovare un progetto su una cosa buona in se stessa; il difficile è il modo di tradurlo in pratica. Vorresti dare speranza, spenderti...
perché non dai a te stessa speranza e dispendio di energie? Resterai sorpresa quando vedrai i frutti. Un piccolo esempio dalla mia vita, sicura che noi due non siamo né illuse né deluse, forse perché non cerchiamo una nostra soddisfazione. Nel momentaneo sperderci nell'inconclusività dei nostri gesti anche i più generosi, ci svuotiamo. E il vuoto può essere spazio di accoglienza.
Solo che ......... potrebbero riempirlo imprevisti ospiti. Io, più vecchia di te sono arrivata a questo guado: sono invasa da sconosciuti, e cioè da persone lontane dalla mia sensibilità, inteligenza, modo di pensare, impostazione di vita, e quant'altro. Rimango perplessa, ma se in cuor mio dico: "sì questi sono i miei amici", proprio mentre mi sento più sola di un cane. E allora perché dovrei dire che il cosiddetto progetto è fallito? Almeno a questi che partono da altre premesse, che .... non mi scaldano il cuore, né mi aiutano a capire il mistero del mio esserci, dico la mia riconoscenza perché accettano i miei limiti anziché la mia sovrabbondanza. Sono una poveraccia a cui un dono fa piacere anche se non è quello agognato.
Un bacio, Ausilia

Darianna Saccomani ha detto...

Il progetto ha una sua "genesi", ed è quella che ho cercato di sintetizzare. Il progetto si blocca non perché non funzioni, ma ... perché si va necessariamente a toccare dei centri di potere, perché - nonostante tutto - per un qualche motivo non arriva quel "centesimo" di euro che consente di andare avanti. Ma la mia riflessione è proprio nelle corde che tu hai toccato. Infatti non c'è fallimento per quanto mi riguarda, per quanto questo è il limite che riconosco di fronte ad altri che hanno ben altre premesse.
Grazie, un abbraccione
Darianna