mercoledì 29 settembre 2010

Parlo al dio di Giobbe

Cara Darianna, tu sei priva di speranza e me ne dispiaccio. Ma io sarò più catastrofica perché dirò la verità che tutti vogliamo nascondere nei modi più ambigui. Mi si rimprovererà la mai mancanza di fede e mi considereranno perduta moralmente e spiritualmente? Facciano. S’accomodino in salotto a parlarne. Io questa volta voglio parlare così. Questa libertà me la prendo col dio di Giobbe.:
Sofferenze parlano in modo vario nei visi di persone provate dalla sventura.
Permettetemi di cominciare dal coniglione che se ne sta chiuso (in una casa dove vivo per un po’ di tempo) SEMPRE in una gabbia che appena appena lo contiene. Non gli fanno mancare cibo né acqua perché deve vivere per dare a gente stupida la soddisfazione che esiste un vivente d’altra specie, da accudire, da guardare una volta tanto (non tanto). Lui qualche volta batte non so cosa quando vede qualcuno che si muove dietro la sua prigione senza spazio vitale. Ho provato a guardare i suoi occhi. No so se implorassero liberazione, ma certamente portano stampata l’atrocità della sofferenza: e sì! Questa la capiscono gli animali, e la vivono nell’infelicità assoluta. Mi verrebbe da gridare che la ferocia umana è insopportabile, che io non ci sto bene per questo in un mondo fatto così.
E non mi si dica che ci sono moltissime altre sofferenze, soprattutto quelle umane. Elimino subito questo termine ‘soprattutto’. Il martirio del coniglio non è uno che si aggiunge agli altri come un oggetto si accumula agli altri. Il coniglio è un essere singolo che patisce, smaltisce in sé il destino notte e giorno, SEMPRE.
Vi assicuro che le sofferenze di tutti me le sento addosso, e se parlo del coniglio è perché lo vedo ogni giorno. Mi sarebbero più sopportabili le mie, se fossi io un’eccezione. Invece che visi, Dio mio! Gente trasportata in carrozzella: chi le guida sempre soddisfatto di offrire una divagazione; ma il sofferente è un rassegnato, piegato ad un’insopportabile inerzia. Ma la vita per lui c’è solo per poter digerire il suo stato pietoso: perché?
E poi, e poi? Vi pare che ignori le schiavitù di ogni giorno, solo perché ho accennato a queste?
Predicatori di ogni giorno, retori tutti! anche se sotto i panni di ‘pezzi grossi’, politici soprattutto: vi ODIO. Lasciatemelo dire. Vi associo senz’altro ai mafiosi. Tutti, altrimenti vu contentereste di un piccolo stipendio: o fate questo o non credo in nessuno di voi.
Solo di tratto in tratto si vede qualche luogo – ahimè quanto pochi ce ne sono! – dove si sfrutta quel che di vitale sussiste in queste vite morte e si ridà modo di vivere la loro vita in una forma di normalità accettabile. Fino a quanto si prenderanno cura di questi? Quando diverranno del tutto inabili, la crudele natura non potrà essere sconfitta, ed allora anch’essi ritorneranno ad essere conigli nella gabbia del proprio corpo e degli avari controllati spazi che saranno concessi a beneficio degli stipendiati attraverso la loro prigionia.
Ci si lamenta della mancanza del necessario per la sussistenza delle famiglie. Si vogliono stipendi più sicuri. A parte il fatto che spesso gli stipendi non bastano perché non bastano a soddisfare bisogni indotti, spesso inutili o dannosi, E’ questo il motivo del contendere tra destra e sinistra? Li sopporterei se si preoccupassero di questo (assieme a tutto ciò che è necessario perché non si muoia di fame e di freddo, di mancanza di istruzione e di mezzi per comunicare con la vita sociale… e non ho voglia di specificare). Ma ma ma…. La vita sociale è malata, e si rimedierebbe di più senza le politiche ladre a tutto tondo, da sostituire attraverso una gara a denudarsi di privilegi e di prestigio.
Ma, Dio mio, vuoi che questo mondo lo aggiustino questi signori, qualche verginella che prega in clausura, qualche devota di P.Pio & company?
Per ora mi fermo qui perché non trovo risposte e temo le risposte arroganti di chi parla di SPERANZA, senza pensare che questo mondo bisogna rifarlo daccapo, o…. che sia distrutto. Subito.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono completamente d'accordo! Baci, J.